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IL FIGLIO DELLA PANTERA ROSA
(SON OF THE PINK PANTHER)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 16 gennaio 1994
 
di Blake Edwards, con Roberto Benigni, Claudia Cardinale, Herbert Lom (Stati Uniti, 1993)
 

I film di Blake Edwards - è forse il caso di ricordarlo - appartengono ad una tradizione che ha fatto grande Hollywood. Quella dei Minnelli, dei Preminger o dei Sirk: quella per la quale contava di più il come del cosa.

L'opera del regista si divide in tre parti: i film comico-grafici (la serie de LA PANTERA ROSA, naturalmente; o l'irresistibile THE PARTY), quelli melodrammatici come THE DAY OF WINE AND ROSES, e quella dei capolavori (VICTOR, VICTORIA), nei quali le due componenti si fondono perfettamente. Ma ovunque, il "come" una cosa è descritta, vale infinitamente di più del "cosa" si racconti. Nei suoi film prettamente comici questo"cosa" può essere non soltanto, ed ovviamente risibile: ma addirittura sgangherato. Come definire altrimenti certe disavventure che hanno reso celebre a suo tempo Peter Sellers? La lezione di Edwards sta tutto nel modo che impiega il suo autore a mettere ordine - ad organizzare - quel disordine. O, se preferite, a dar peso alla scarsa importanza di un soggetto, di una situazione sfruttata e prevedibile.

Il cinema comico non dovrebbe esser fatto di battute volgari, o di situazioni sciocche: ma - come c'insegna la tradizione dello slapstick e del burlesco (dalle torte in faccia, a Lubitsch) - di una costruzione estetica. In quello di Edwards è come nel disegno animato: l'esattezza, la puntualità spaziale e temporale detta non solo l'effetto comico, ma la seduzione poetica dell'opera. L'armonia di tutta un'architettura nasce dalla somma di elementi (oltre alla costruzione spaziale, gli attori, il montaggio, la musica, ecc.), che si organizzano sullo schermo, fino a comporre una sorta d'inimitabile balletto astratto.

A 72 anni, Blake Edwards resuscita l'indimenticabile Ispettore Clouseau: e tutta la serie di personaggi strampalati che gli gravitavano attorno. Senza contare i tradizionali, brillantissimi titoli di testi: stavolta con Bobby Mc Ferrin, che vocalizza genialmente sul celebre taràn-tatà di Henry Mancini. Ma - a parte qualche resto glorioso - la meccanica si è inceppata; e l'invenzione ormai assente. Benigni non è né carne, né pesce: né quell'elemento grafico, quasi astratto che Peter Sellers riusciva ad integrare meravigliosamente nel puzzle strampalato di Edwards. Ma nemmeno quel personaggio sanguigno, sapido e picaresco che conosciamo, quel pinocchio lunare che così bene era saputo entrare nell'America del Jarmusch di DOWN BY LAW."


   Il film in Internet (Google)

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